nozioni generali in filatelia
rirature, ristampe, tipi, perforatori
IL 300 LIRE SIRACUSANA CON IL COLORE VERDE FLUORESCENTE
Nicola Luciano Cipriani e Antimo (Nino) D’Aponte
Descrizione delle tirature
Il 4 gennaio 1988 (G.U. n° 288 del 6 ottobre 1987) la serie ordinaria “Italia Turrita” detta Siracusana venne dichiarata “fuori corso” e sostituita già dal 1980 dalla serie Castelli coesistendo per ben otto anni circa.
In particolare il valore da lire 300 fu emesso in data 18 luglio 1972 con filigrana Tappeto di Stelle 4 in posizione verticale e stampato con macchina Goebel 300 in 3 gruppi da 100, vale a dire che il cilindro portava tre fogli da 100 incisi. La stampa è stata realizzata su carta fluorescente con gomma arabica, dentellato 14×14¼ con perforatore a Pettine semplice orizzontale sinistro e bordo ornato a nastro lungo i lati verticali. Per questa emissione è nota una sola tiratura (figura 1).
Successivamente, nel 1974 lo stesso francobollo fu ristampato con le medesime caratteristiche della prima emissione, ma usando un tipo di gomma diversa, quella vinilica, il colore, verde smeraldo, in questa tiratura è leggermente più chiaro rispetto a quella precedente. È la prima tiratura con colla vinilica (figura 2).
Nel 1976 è posta in vendita una nuova tiratura riconoscibile dall’assenza del disegno a nastro sui bordi e le scritte sui bordi a caratteri più piccoli. Nella figura 3 la scritta fluorescente è visibilmente differente rispetto alle tirature precedenti. È la II tiratura con colla vinilica (Biraghi D., 2009-2016).
Da aggiungere all’esauriente lavoro di Daniele Biraghi alcune note sulla possibilità di distinguere i tre gruppi di 100 nelle due tirature con gomma arabica e vinilica I tiratura.
Nel I gruppo di entrambe le tirature si osserva la scritta fluorescente inclinata, sale infatti leggermente verso destra, e un piccolo puntino aderente il tratto inclinato della N nella tiratura vinilica (figura 4).
Nel II gruppo la scritta fluorescente in entrambe le tirature è quasi orizzontale e sale in modo impercettibile verso destra (figura 5).
Infine nel III gruppo in entrambe le tirature la scritta fluorescente è quasi orizzontale, ma in questo caso scende in modo impercettibile verso destra (figura 6). Nella tabella che segue sono riassunti i dati diagnostici.
(*) Secondo un recente articolo di Biraghi le tirature con colla arabica sarebbero due e si distinguono per alcune varietà di riporto causate probabilmente dalla rigenerazione del cilindro
In quanto alla II tiratura con colla vinilica, questa si distingue molto bene dalle due descritte in dettaglio per le scritte sui bordi molto più piccole, compresa la parola fluorescente, la differenza è decisamente evidente, le sue misure sono mm 34 x 2,5 contro 52,5 x 3,7. Inoltre la posizione dei puntini di colore che contrassegnano i tre gruppi di cento sono posti sotto il 100° esemplare e non sopra il 10°.
Del 300 lire Siracusana è noto un falso stampato a Roma nel 1977 e, nello stesso anno (21/11/1977) a causa di questa falsificazione, venne messo fuori corso.
Altra nota recente: la scoperta di un nuovo passo della dentellatura (14 x 14,10) (Cipriani e D’Aponte, 2024). Le misure sono state effettuate su francobolli in affrancature SNAG a partire dal 1972 sia su valori stampati su carta con gomma arabica, sia con gomma vinilica. Potrebbe esser probabile che il nuovo perforatore fosse stato prima usato saltuariamente e più tardi in modo continuativo.
Al di là delle note distintive tra le varie tirature, che per altro sono decisamente da collezionisti delle specializzazioni, questo articolo è stato stimolato da una novità ed è stato necessario analizzare in dettaglio le tirature per poter capire a quale/li di queste attribuire la caratteristica dell’inchiostro reattivo alle radiazioni UV.
La novità
La scoperta è avvenuta per caso, mentre Nino si accingeva a sistemare e a verificare un piccolo lotto di questi valori, sia nella dentellatura che nella fluorescenza. Quest’ultima si mostra, come è noto, in varia tonalità: dal color avorio, al giallo limone e al bianco/azzurrina, tutte più o meno intense. E mentre alcuni esemplari, sotto l’effetto della Wood, facevano bella mostra della propria reattività, tra i tanti è emerso un francobollo che aveva qualcosa di anomalo. Presentava una risposta del verde agli UV molto scura e leggermente sfocata; la cosa ha incuriosito Nino ed ha analizzato l’esemplare per capire meglio le sue caratteristiche. Anche al verso, e sempre sotto gli UV, si palesava l’immagine speculare della vignetta (figura 7). Ovviamente in luce bianca il francobollo non è distinguibile dagli altri.
L’immagine che segue (figura 8) riproduce un confronto tra il francobollo (a destra) reattivo ai raggi ultravioletti ed uno normale (a sinistra) che non mostra alcuna risposta; per entrambi gli esemplari sono presenti sia il fronte che il retro osservati sia in luce bianca che UV.
In luce bianca (parte alta della figura), si può vedere come i due esemplari appaino con le stesse caratteristiche, ma osservando bene, già in queste condizioni, il retro del francobollo di destra mostra una leggera immagine del fronte; probabilmente questa evidenza è da attribuirsi ad un diverso tipo di carta, forse leggermente più sottile dell’altro esemplare.
In luce viola, invece, (parte bassa della figura) si evidenziano le differenze delle risposte dei due francobolli. Mentre l’esemplare normale (a sinistra), a parte la fluorescenza gialla, non mostra alcuna differenza rispetto alla luce bianca, l’esemplare di destra, sia per l’immagine del fronte che del retro, si differenzia notevolmente per la reazione alla radiazione UV. Sul fronte si osserva un tono di verde molto più scuro, quasi nero-verde, e gli stessi tratti di colore appaiono leggermente sbavati. Sul retro, l’immagine della stampa appare accentuata e ben visibile nelle sue varie parti.
L’immagine di colore scuro che appare sul retro a seguito del trattamento in luce viola è del tutto simile a quello che è stato osservato in altri francobolli da parte di vari autori (Cipriani, D’Aponte, Borgogno, Spampinato, vedi bibliografia).
La prima scoperta fu per il 1000 lire Castelli (Cipriani, 2014). Per questo francobollo fu evidente una forte risposta del colore nero del maniero che sul retro mostrava il suo fantasma di colore scuro. Date le similitudini cromatiche, si pensò che l’immagine sul retro fosse dovuta alla fluorescenza del colore nero. Nel tempo però questo fenomeno è stato notato anche per altri colori: il marrone del 900 lire (Cipriani, 2015), il marrone, verde e azzurro nel 750 (Cipriani e Borgogno, 2016), il grigio della cornice del Castello da 350 lire (Cipriani, 2016, su segnalazione di G. Spampinato), il grigio bluastro ed altri colori negli Alti Valori lire (Cipriani, 2017), il blu ed il rosso nel segnatasse da 500 lire (Cipriani, 2017, su segnalazione di G. Spampinato), Il marrone nell’800 lire Donne Nell’Arte (Cipriani e D’Aponte, 2016), il colore metallizzato dorato a base di ottone utilizzato in alcuni francobolli degli anni ’70 dello scorso secolo (D’Aponte, 2020, aggiornato su segnalazione di G. Spampinato).
Sin dal ritrovamento dei primi colori diversi dal nero si pensò che questo strano fantasma sul retro dei francobolli (figura 9) non poteva essere legato al pigmento, anche se in molti colori è spesso presente una certa percentuale di nero. L’effetto doveva necessariamente interessare altri componenti dell’inchiostro. È da questa considerazione che abbiamo indirizzato le nostre osservazioni sugli inchiostri e tentare di giocare al piccolo chimico. La storia degli inchiostri è semplicemente fantastica e ci mostra uno spaccato della genialità umana veramente sorprendente. Abbiamo sempre sottovalutato i nostri predecessori, specialmente quelli più antichi; abbiamo sempre pensato di essere in qualche modo “superiori”. Ma è solo un pensiero molto arrogante. L’unica differenza è soltanto il livello di conoscenza tecnologica; si dovrebbe essere coscienti che gli antichi erano di certo superiori a noi per il livello di inventiva che gli consentiva di “costruire” con nulla e dal nulla tutto ciò che era loro occorrente. Questo è uno dei motivi per cui abbiamo il piacere di riportare un po’ di storia essenziale sulla fabbricazione degli inchiostri. Ci scusiamo naturalmente con chi ne è già a conoscenza e confidiamo di fornire notizie utili agli interessati.
Lo stato dell’arte e gli inchiostri nella storia
La scoperta dei colori fluorescenti visibili sul retro dei francobolli, che presentano un colore blu-violaceo molto scuro, ha prodotto un cospicuo impulso alla osservazione dei colori con cui sono stampati i francobolli per scoprire nuovi valori con questa caratteristica e per capire quale componente degli inchiostri potesse generare la fluorescenza descritta.
Per meglio affrontare questa ricerca, si è reso necessario conoscere la composizione degli inchiostri e la loro evoluzione nel tempo. Mediamente un inchiostro moderno ha una composizione molto complessa nella quale ogni componente ha proprie e specifiche funzioni, inoltre la composizione, la densità ed altre caratteristiche variano a seconda della tipologia e del metodo di stampa. A mo’ di esempio si riporta una composizione generica espressa con intervalli percentuali.
- pigmento dal 13 al 20%, nel caso di pigmento bianco coprente (biossido di titanio) si arriva al 50%;
- resine alchidiche (vegetali da lino, soia, ecc) 10-15%;
- resine dure (da colofonia) 25-30%; oli minerali o vegetali 30-35%;
- cere 5%; essiccanti 1-2% e antiessiccanti 1-2%.
I pigmenti moderni, che conferiscono il colore all’inchiostro, sono stati per lo più inorganici fino a qualche decennio fa; negli ultimi anni sono stati modificati molti componenti ed attualmente sono tutti prodotti di sintesi. Generalmente i pigmenti naturali non sono fluorescenti oggi, invece, con i prodotti di sintesi si riesce a fare di tutto, ma questo è tutto un altro mondo.
Tornando al nostro fantasma fluorescente e per svelarne il mistero bisogna cercare di capire quale componente organico possa causare la fluorescenza di alcuni inchiostri usati nella seconda metà dello scorso secolo. Certamente la fluorescenza è argomento tecnico-scientifico moderno, ma ci ha incuriosito molto conoscere in modo un po’ più approfondito l’evoluzione subita dagli inchiostri nel corso del tempo e sono venute fuori notizie molto interessanti che abbiamo il piacere di raccontare.
Ci siamo rivolti ad alcune tipografie, attraverso conoscenze personali, ma le risposte non sono state affatto utili. Lo studio sugli inchiostri da stampa, spazia in campo molto vasto e non è stato facile orientarsi. Inoltre la composizione di molti inchiostri è piuttosto complessa e può essere caratterizzata da molti componenti di origine sia organica che inorganica. Le caratteristiche dei componenti inorganici (essenzialmente pigmenti minerali) degli inchiostri sono noti a Cipriani per il suo trascorso da mineralista presso l’università di Firenze; i componenti organici invece sono tutto un altro mondo. Non siamo riusciti a trovare informazioni sulla loro fluorescenza, nemmeno chiedendo ad esperti del settore. Abbiamo allora pensato di fare un tentativo di analisi sul componente più frequentemente usato negli inchiostri sia recenti che del passato: l’olio di lino.
Abbiamo fatto un tentativo di prova con olio di lino, sia cotto che crudo. Abbiamo bagnato alcuni francobolli con entrambi i tipi di olio ed abbiamo fatto osservazioni alla lampada di Wood ripetute nel tempo ad intervalli lunghi. Sono passati ormai oltre tre anni, ma le osservazioni non hanno mai mostrato effetti cromatici dovuti alla ossidazione dell’olio. Abbiamo testato anche la colofonia solida agli UV. Questi tentativi sono stati solo una delle tante strade percorribili data la variabilità composizionale degli inchiostri; ma la logica ci ha fatto scegliere i componenti più frequentemente utilizzati nel tempo. L’ossidazione avrebbe dovuto manifestarsi in tempi relativamente brevi perché i francobolli che mostrano sul retro il colore nero-bluastro erano quasi “freschi di stampa” al momento della scoperta, avvenuta negli anni ‘90 e non scovati in un vecchio cassettone in soffitta. Non è facile individuare il componente reattivo agli UV, potrebbe essere un componente sempre usato ma di produzione moderna, oppure uno moderno mai usati prima; potrebbe anche essere un particolare additivo di uno specifico produttore o un additivo specifico in un periodo limitato di una produzione aziendale.
È interessante notare che l’olio di lino è stato adottato nella fabbricazione degli inchiostri sin dai tempi della nascita dei processi di stampa messi a punto da Gutenberg.
Si legge in Storia degli antichi inchiostri per scrittura e per stampa (https://reinol.it/it/):
….. i primi tentativi di utilizzo di inchiostri acquosi fatti con ricette storiche furono vani a causa della mancata aderenza dei liquidi alle forme metalliche delle lettere preparate dal famoso stampatore. Egli capì la necessità di utilizzare un liquido più viscoso dell’acqua e fece ricorso agli oli. L’idea fu quella giusta anche se la soluzione idonea fu trovata con il tempo e con tentativi. Si pensa che inizialmente gli oli fossero addizionati all’inchiostro ferrogallico a base acquosa, pur non esistendo prove in merito.
L’inchiostro ferrogallico per ossidazione produce una colorazione marroncina (figura 10) rivelatrice della presenza di ferro, colore ben presente in molte prefilateliche (n.d.a.).
Di certo la giusta “ricetta” per l’inchiostro fu il risultato di aggiustamenti successivi. Ed ancora:
Le notizie storiche intorno ai primi inchiostri tipografici sono particolarmente scarse, occorre però sottolineare il fatto che l’inchiostro della celebre Bibbia delle 42 righe (1450-52) (figura 11) è già sostanzialmente perfetto, certamente frutto di una lunga ricerca che collega Gutenberg ai pittori olandesi-fiamminghi, che inventarono la pittura con colori ad olio (di lino) nel XV secolo. Sta di fatto che le prime opere stampate impiegano già inchiostri neri e densi, privi di nuances marroni, come capita ancora per molte opere dei secoli successivi….
….Un documento della fine del Quattrocento, nel Diario della Stamperia di Ripoli, elenca i materiali acquistati da una tipografia gestita dalle monache del convento fiorentino di Ripoli (ripreso da Vincenzo Fineschi nel 1781, figura 12, n.d.a.). Sappiamo così che il convento acquistava olio di lino e trementina, ragia, vernice linoleica solida o liquida a seconda della stagione, dal momento che la temperatura influisce enormemente sulla viscosità dell’inchiostro tipografico, che dev’essere più viscoso se la temperatura cresce….
….Una generica antica ricetta per inchiostri tipografici indica una composizione contenente tre parti di nerofumo da macinare con circa 15 parti in peso di vernice di olio di lino o di noce cotti. Tutte le mattine i torcolieri erano obbligati a prepararsi la quantità di inchiostro nero necessaria per la giornata, perché tale inchiostro essicca in poco tempo, essendo gli oli impiegati (lino e noce) appunto siccativi….
….Recentissime analisi (2003-2004), basate sulle più moderne tecniche, sono state eseguite su fogli originali della Bibbia stampata da Gutenberg nel 1452, la famosa Bibbia delle 42 righe, primo libro completo stampato con tecniche tipografiche. Il risultato di queste ricerche, … per le quali si sono impiegate le tecniche di spettroscopia IR nella banda micro Raman, … consente di affermare che l’inchiostro impiegato da Gutenberg nella Bibbia delle 42 righe contiene proprio olio di lino, olio di noce e nerofumo. L’olio di noce, rispetto a quello di lino, ingiallisce prima, ma, se viene riscaldato, essicca più lentamente, fattore determinante per la produttività tipografica.
Tornando alla produzione degli inchiostri moderni, l’uso dell’olio di lino è durato fino ad alcuni decenni fa, gradatamente questo, ed altri componenti organici, sono stati sostituiti da resine ed oli di sintesi in quanto gli organici, anche se non sempre, spesso subiscono processi di alterazione (ossidazione) i cui effetti diventavano visibili sulle parti stampate. Gli oli e le resine di sintesi invece hanno caratteristiche fisiche e chimiche molto più stabili ed i prodotti a stampa risultano più durevoli nel tempo, ma anche loro hanno problematiche di altri tipi. Le ricerche storiche hanno permesso di capire alcuni aspetti della produzione degli inchiostri e studi relativamente recenti hanno consentito di conoscere le caratteristiche fisiche e chimiche degli oli, ma non siamo riusciti a sapere nulla in merito alla loro fluorescenza.
Ora possiamo riprendere il nostro francobollo da 300 lire. Abbiamo rovistato tra il nostro materiale e qualcosa è venuto fuori (figura 13) inoltre scambiando con Daniele Biraghi alcune informazioni abbiamo ricevuto la coppia di figura 14. I tre francobolli sono tutti con gomma arabica della prima tiratura e presentano la caratteristica reazione agli UV. Le due immagini parlano da sole dopo aver trattato questo argomento più volte.
Abbiamo verificato il nostro materiale ed è stato possibile riscontrare che il colore verde è reattivo agli UV solo in una parte della prima tiratura con gomma arabica ed è subito arrivata la domanda: ma in quale periodo è stata immessa questa variante? Siamo allora ripartiti con le verifiche, ma questa volta, analizzando le buste viaggiate. Il campione non è stato particolarmente grande, ma sufficiente a capire che le date più vecchie trovate risalgono a novembre 1972 (figura 15) ed hanno avuto continuazione nel 1973. Informazioni più dettagliate in merito al periodo d’uso potranno scaturire con l’analisi di ulteriori campioni di storia postale.
Sono stati trovati anche alcuni esemplari, sempre su SNAG, con date del 1975, possono essere considerati la solita coda durante lo smaltimento delle vecchie distribuzioni. L’emissione è del 18 luglio 1972, quindi la produzione con inchiostro reattivo è del primo periodo, Probabilmente vennero stampati quasi in contemporanea con l’emissione tipo. Non abbiamo riscontro di reattività in esemplari con colla vinilica che sono stati distribuiti sin dal gennaio 1974. Non ci sono ancora note le caratteristiche di quella che si potrebbe chiamare tiratura B della colla arabica recentemente individuata da Daniele Biraghi; sarà interessante verificare quale delle due tirature, o se di entrambe, sia/no interessata/e dal colore reattivo alla radiazione UV.
Bibliografia
Biraghi D., 2009-2016 Collezione “La Siracusana”
Biraghi D. e Biraghi B., Le tirature del 300 lire Siracusana fluorescente.
Cipriani N. L., 2014. Uno strano 1000 lire Castelli. http://www.peritofilatelicocipriani.it
Cipriani N. L., 2015. Anche il 900 lire Castelli ha colori fluorescenti. http://www.peritofilatelicoci-priani.it
Cipriani N. L., 2016. 750 lire Castelli: ancora colori fluorescenti. http://www.peritofilatelicoci-priani.it
Cipriani N. L., 2016. Ancora nuove scoperte sui Castelli: anche il 350 lire ha l’inchiostro fluorescente. Su segnalazione di G. Spampinato. Il francobollo Incatenato n. 266.
Cipriani N. L., 2017. Gli Alti Valori Lire con colori fluorescenti. http://www.peritofilatelicocipriani.it
Cipriani N. L., 2017. Un inedito 500 lire segnatasse. http://www.peritofilatelicocipriani.it
Cipriani N. L., D’Aponte A., 2016. Donne Nell’Arte: marrone fluorescente? Il francobollo Incatenato, n. 266.
D’Aponte N., 2018 – Il colore metallizzato usato in alcune emissioni degli anni ’70 del 1900. Il postalista https://www.ilpostalista.it/filatelia/295.htm. Con aggiornamento di comunicazione da parte di G. Spampinato. Pubblicato anche su: L’occhio di Arechi, Il Corriere Postale, e La Ruota Alata.
Fineschi V., 1781. Notizie Storiche sopra la Stamperia di Ripoli. https://books.google.it/books?id=Nbpsc8t7C9QC&pg=PR1&hl=it&source=gbs_selected_pages&cad=1#v=onepage&q&f=false
Riggi G., 1990. La Fluorescenza nei Francobolli d’Italia. edizioni CRAL SIP sez. Torino.
Riggi G., 1995. La Fluorescenza nei Francobolli d’Italia 1944-1994. Vaccari edizioni
Storia degli antichi inchiostri per scrittura e per stampa. https://reinol.it/it/.
I FOGLI FILIGRANATI DEL REGNO D’ITALIA E I FRANCOBOLLI PER PACCHI
Nicola Luciano Cipriani, perito filatelico
introduzione
Con l’emissione del 1863 il Regno d’Italia si dota di una serie organica di francobolli ordinari per poter coprire le necessità dei vari tipi di servizio postale allora attivi. L’operazione fu, come noto, affidata alla Casa londinese De la Rue che si occupò di progettare e stampare carta filigranata e francobolli. Tale attività fu portata avanti per un paio di anni e alla fine del 1865 fu sperimentata a Londra la carta filigranata italiana di probabile produzione della cartiera Avodio operante a Serravalle Scrivia (Filanci et al., 1994).
I risultati furono positivi e iniziò il passaggio graduale delle consegne all’Italia per continuare la stampa dei francobolli in proprio. La produzione italiana dei fogli filigranati continuò sulla base del progetto inglese e nel tempo le forniture furono affidate anche ad altre cartiere che, a seconda delle necessità, hanno operato anche in parallelo. Esse furono:
- Cartiera Favini di Maslianico (CO)
- Pietro Miliani di Fabriano (AN)
- Cartiera Italiana di Serravalle Scrivia (AL)
I fogli erano stati progettati in modo che ciascuna corona in filigrana corrispondesse ad un francobollo stampato; al momento i francobolli avevano tutti la stessa dimensione nota come “piccolo formato” la cui dimensione era 1,85 x 2,20 alla stampa e 2,00 x 2,40 alla dentellatura.
Il foglio filigranato aveva dimensione 46,4 x 58 circa (figura 1) ed era composto da quattro gruppi di 100 corone suddivisi da uno spazio minore tra i due gruppi verticali e leggermente maggiore tra i due gruppi orizzontali. In quest’ultimo erano presenti due piccole croci tra il I e III quadrante e tra il II ed il IV. Le piccole croci erano in prossimità tra le prime e le ultime coppie di corone. Dopo la stampa, i quattro gruppi venivano separati (Figura 2) e ciascuno di essi avrebbe avuto i propri bordi in corrispondenza dei quali non vi era filigrana; la filigrana lettere era solo in corrispondenza dei bordi esterni del foglio. Questa struttura consentiva raramente, per cattiva centratura del foglio, che i francobolli ordinari di piccolo formato potessero essere senza filigrana o avere in filigrana la piccola croce o la filigrana lettere.
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I francobolli per pacchi
Quando questi fogli furono approntati, i francobolli per pacchi non erano stati affatto previsti e, quando furono emessi, la prima volta fu nel 1884 sotto Umberto I (figura 3), ben 21 anni dopo l’adozione dei fogli filigranati.
Questi primi francobolli per pacchi avevano una dimensione alla perforazione di mm 24×30. I francobolli umbertini furono settati sui fogli filigranati di cui sopra in due differenti modi: sia in quattro gruppi da 50 francobolli (figura 4), sia in due gruppi da 140 (figura 5).
Con il primo settaggio furono stampati i due valori minori, gli altri quattro con entrambi. Questa seconda disposizione sfruttava meglio lo spazio disponibile ma trascurava la variazione di filigrana che si sarebbe avuta negli spazi non filigranati verticali (compresi tra due quadranti orizzontali). Nei gruppi da 140 francobolli (in tutti i casi questi francobolli furono stampati in posizione coricata) le colonne centrali 7a ed 8a erano entrambe in corrispondenza della fascia senza filigrana e data la dimensione dei francobolli, quelli di queste due colonne presentavano una sola corona in filigrana (figura 5). Se si fosse verificato un discreto fuori registro della stampa, questo avrebbero potuto generare francobolli senza (o quasi) filigrana. Nel contempo a destra o a sinistra si sarebbe dovuto avere la filigrana lettere all’interno di almeno cinque francobolli. I cataloghi non riportano queste due varietà e durante la mia ricerca non ne ho incontrate; ho potuto notare, non di frequente, esemplari con una sola croce. Ancora da evidenziare è che su questi francobolli la filigrana è sempre coricata ed in posizione destra, come evidenziato dal Catalogo Enciclopedico Italiano. Da aggiungere che nemmeno la piccola croce è segnalata all’interno di questi francobolli. Quanto appena detto, rivela chiaramente che le maestranze ottocentesche ponessero molta attenzione alla disposizione dei fogli filigranati per la stampa.
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La riforma del 1914
La riforma del 1914 relativa alle norme per la spedizione dei pacchi postali coinvolse anche la progettazione dei francobolli e dei bollettini di spedizione. I nuovi francobolli sono allungati e formati da due sezioni separate da perforazione (figura 6); questa particolare struttura, unica al mondo, era stata adottata per far sì che la parte sinistra restasse sul bollettino di spedizione e quella di destra sulla ricevuta che, solidale con il primo, veniva separata per essere consegnata al mittente.
I francobolli venivano quindi applicati a cavallo della traccia di separazione che consentiva il distacco della ricevuta lasciando la loro metà di sinistra sul bollettino che accompagnava il pacco e quella di destra sulla ricevuta che veniva consegnata al mittente (figura 7).
Nell’insieme, questi francobolli stretti e lunghi componevano fogli particolarmente allungati composti da 10 righe di francobolli su 10 colonne (figura 8); ciascun gruppo da 100 era largo 58 cm e alto 23,4.
l’uso dei fogli filigranati per il nuovo formato dei francobolli
I fogli filigranati utilizzati erano sempre quelli con quattro gruppi di filigrana corona predisposti per la stampa dei francobolli ordinari sin dal 1863 (emissione DLR). Mentre per gli ordinari l’uso dei fogli filigranati fu limitato al 1929, anno dell’adozione del sistema di stampa a rotativa che utilizzava la carta in bobina, per i pacchi postali si continuò ad usarli fino al 1946.
Questi particolari fogli allungati orizzontalmente furono progettati per essere stampati in posizione coricata sui fogli filigranati (figura 9).
La figura mostra la sovrapposizione di un gruppo da 100 francobolli sul foglio filigranato e come la stampa vada ad interessare anche la fascia senza filigrana compresa tra due gruppi verticali di 100 corone; all’interno di questa fascia sono presenti anche le due piccole croci. Con una stampa perfettamente centrata sul foglio filigranato, le due piccole croci sarebbero sempre state presenti sui bordi superiore ed inferiore del foglio, senza interessare alcun francobollo; al contrario, in corrispondenza della fascia senza filigrana si sarebbero trovate le parti destra e sinistra dei francobolli delle colonne 5a e 6a. Per questi francobolli, fino al passaggio al sistema repubblicano, il Catalogo Enciclopedico riporta sia la varietà senza filigrana per una metà dei francobolli di una delle due colonne centrali, sia la varietà piccola croce.
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Le variabili nel processo di stampa
Nelle figure successive sono riportate le due varietà descritte poco sopra; nella descrizione le parole destra e sinistra sono riferite alla visione frontale del francobollo completo. Nella figura 10 è messa in evidenza una parte di corona nella porzione destra del francobollo, mentre in quella sinistra è completamente assente.
Se fosse stata presente, si sarebbe dovuto vedere la stessa porzione di corona nella stessa posizione della metà in cui è presente. Questo francobollo è posizionabile nella sesta colonna dove questa varietà è possibile solo nella parte sinistra del francobollo.
Nella figura 11, invece, è visibile la filigrana piccola croce nella parte alta, anche in questo caso, nella metà di sinistra.
Anche questo francobollo quindi è collocabile nella sesta colonna della quale è, molto probabilmente, il primo francobollo in alto vista la posizione della piccola croce in prossimità dell’angolo sinistro alto del francobollo.
Queste due varietà non sono rare.
Altra caratteristica di queste emissioni è anche la posizione sinistra della filigrana (figura 12).
Le ultime tre figure rivelano come le maestranze ponessero una attenzione limitata nel posizionare i fogli filigranati per la stampa, possiamo quindi affermare che i nuovi addetti potessero avere minore professionalità rispetto ai loro colleghi che avevano operato per la produzione dei francobolli umbertini.
Ruotando l’immagine della figura 9, cioè ponendo la stampa dei francobolli in posizione orizzontale rispetto alla lettura, possiamo ricostruire il foglio completo a stampa costituito da due gruppi di 100 francobolli (figura 13).
Come si può notare, le scritte di formato maggiore (francobolli speciali per pacchi …) sono identiche e poste sui bordi alto e basso del foglio doppio, similmente uguali, ma di corpo minore, sono le altre scritte (il mezzo foglio di 100 …) collocate nella fascia centrale e a cavallo della separazione dei due gruppi da 100. Dalla disposizione delle scritte, quindi, è possibile riconoscere la posizione del gruppo di 100 francobolli sul foglio filigranato. Il fatto di ritrovare entrambe le posizioni di filigrana corona (destra e sinistra), vuol dire che i fogli filigranati potevano essere posti sul piano di stampa sia ruotati che capovolti. Nel primo caso il foglio veniva posto sul piano stampa con parte filigranata in basso, mentre, quando era capovolto la filigrana era sulla faccia superiore e riceveva quindi la stampa.
Le quattro modalità possibili di disporre il foglio filigranato per la stampa generano comunque due sole posizioni di filigrana: o destra o sinistra (figura 14).
Le due modalità con posizione di filigrana destra possono essere distinte tra loro solo con la presenza del bordo di foglio che mostrano parte delle scritte tipiche (ministero del tesoro o ministero delle finanze, l’acronimo del produttore o il numero della tavola). In un caso saranno leggibili da sinistra verso destra e nell’altro invertite. La stessa cosa si verifica per le due possibilità di avere la filigrana in posizione sinistra.
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Bibliografia
Filanci et al., 1994 – Una questione di sicurezza. Ed, Poste Italiane.
FLUORESCENZA, COSA SARA’ MAI COSTEI!
Nicola Luciano Cipriani, perito filatelico
Premessa
Questo titolo di manzoniana memoria non deve far pensare che voglia fare una lezione di fisica, assolutamente. Voglio solo evidenziare il fatto che la fluorescenza della carta e dei colori utilizzati per la stampa dei francobolli non hanno mai attratto commercianti ed editori di cataloghi, se non marginalmente. Mi sono sentito dire più volte qualcosa come: “ma, sai non è una cosa che si vede! E poi, non interessa proprio a nessuno!”. Vorrei obiettare che potrebbero essere ben altre le motivazioni per cui la fluorescenza è considerata una Cenerentola della filatelia. Una cosa è certa, se non viene presentata, spiegata ed offerta è chiaro che il collezionista medio ne sarà attratto solo dietro impulso personale e spontaneo. Il non parlarne l’ammanta in qualche modo di cosa misteriosa (proprio perché poco nominata e quindi poco conosciuta) e passibile di imbroglio e comunque del suo dubbio. Il dubbio, che è sempre bene avere, in questo caso agisce da sicuro distruttore del “mito”. C’è da aggiungere che il tacerla fa sì che i “qualcuno mi ha detto” o “per quanto ne so” producano spesso falsi concetti. Concludo il mio pensiero dicendo semplicemente che le giuste informazioni stimolano i collezionisti ad intraprendere ricerche con interesse reale inserendo l’argomento all’interno delle proprie collezioni. Signori commercianti, vi pare cosa da poco?
Inizio con le variazioni non volute e possibili sulla fluorescenza, bisogna dire che ce ne sono anche di empiricamente provate come il passaggio di particelle fluorescenti su francobolli con carta non fluorescente durante il lavaggio. Ma anche questo concetto viene spesso tirato in ballo per spiegare anche l’inspiegabile. E poi mica un francobollo non fluorescente lo diventa per aver fatto un bagno in comune con uno fluorescente! Assumerà un debole segnale superficiale leggermente rilevabile dalla luce viola. Ma è valido anche il contrario: è impossibile che un francobollo fluorescente perda del tutto o quasi la sua caratteristica fino a mostrare una carta senza nemmeno un luminoforo (microscopiche particelle di fosforo).
Vengo al sodo. Questo argomento mi è venuto in mente a seguito della ricerca del 750 lire con inchiostro fluorescente (Il Francobollo Incatenato n. 257, dicembre 2015), durante la quale ho trovato alcuni strani francobolli. Quando penso a questo argomento mi torna sempre alla memoria la pubblicazione di Giovanni Riggi su questo argomento (v. bibliografia, l’unica per il momento applicata allo studio dei francobolli) ed alcuni suoi appunti inediti dei quali mi sono ripromesso da tempo di riorganizzare; prima o poi lo farò!
Tra i circa 12.000 miei pezzi del 750 lire castelli visionati, ne ho trovati alcuni in cui la fluorescenza non investe tutto il francobollo. Lì per lì ho notato la cosa, ma senza soffermarmi a pensarci più di tanto in quanto ricordavo, più o meno vagamente, che Riggi doveva aver descritto qualcosa di simile nel suo lavoro. In realtà il mio ricordo non era così fedele, Riggi si riferiva ad altra cosa, come ho ricontrollato recentemente. Ad ogni modo li avevo comunque accantonati. Ripensandoci, in un secondo momento, mi è venuta la considerazione: “ma come è possibile che la fluorescenza sia mancante su ampie aree del francobollo?” Il lavaggio prolungato, potrebbe causare questa apparente anomalia? Ma, veramente… se ci ragioniamo un po’ sopra e cerchiamo di immaginarci i microscopici luminofori che vanno in giro nella bacinella piena di acqua e francobolli….. si, negli appunti di Riggi ci sono alcuni esempi di passaggio per contatto dei luminofori da un francobollo ad un altro (figura 1), ma si tratta di leggeri passaggi di fosforo che investono pellicolarmente i francobolli e che non rendono il francobollo decisamente fluorescente.
In figura 1 le aree colorate non sono uniformi a causa della direzione di origine della luce viola proveniente solo dalla parte alta del francobollo, questa parte risponde con maggiore intensità e la macchina fotografica la registra fedelmente. La differenza reale tra la carta non fluorescente (in basso nell’immagine) e la parte che ha ricevuto pellicolarmente un po’ di fluorescenza va valutata giusto in prossimità dell’impronta visibile della dentellatura. In questa zona a cavallo della dentellatura, si nota bene come la differenza di fluorescenza sia realmente contenuta. E si deve anche dire che il francobollo fluorescente non ha subito la perdita totale della fluorescenza perché se così fosse, lavando i francobolli misti, dovremmo avere tutte carte uguali a debole fluorescenza! Oppure si potrebbero preparare facilmente varietà di fluorescenza. Certamente con opportune manipolazioni chimiche tutto si può fare, anche se non al 100% perché qualche evidenza resta sempre, ma qui non voglio parlare di frodi, bensì di semplice lavaggio che tutti i collezionisti fanno. Restando nell’ambito del collezionismo sano, tutto questo non c’è! C’è anche da aggiungere che il fosforo che può passare per aderenza da un francobollo ad un altro, è solo quello applicato superficialmente, non certamente quello contenuto all’interno della carta. E qui è necessario citare anche i differenti tipi di carta perché non sono mica tutte uguali! Come è noto, per la stampa dei francobolli è stata utilizzata carta fluorescente in patina, carta fluorescente in pasta, vernice fluorescente ed inchiostri fluorescenti [il famoso 10 lire siracusana con un rosso brillante alla luce viola nelle versioni con filigrana ruota, stelle 1, 2 e 4(?), ma ce ne sono tanti altri, anche nei Castelli, come abbiamo visto in altre occasioni].
È mia intenzione riprendere gli appunti di Riggi su questo argomento e spero di farlo a breve. Qui vorrei mostrare solo un po’ di immagini di francobolli che ritengo abbiano difetti di fluorescenza, ma non dovuti a lavaggio, bensì ad una fluorescenza difettosa per fabbricazione della carta. Si tratta, come ho accennato all’inizio, di esemplari del 750 lire castelli usati negli anni 91-92 (quelli da me analizzati).
Esperienze
Premetto che, a differenza degli Alti Valori lire, i castelli hanno avuto solo fluorescenza in pasta di vari colore, bianco e rosa nelle prime tirature e gialla nelle successive (a partire dal 1984). Nella figura 2 riproduco un esemplare con fluorescenza mista bianco-gialla, cosa già messa in evidenza da Riggi (opera citata). La particolarità è che sono presenti anche chiazze blu grigiastre che denotano la totale assenza di fluorescenza. Se nei castelli la fluorescenza è sempre in pasta, vuol dire che, abradendo la superficie, la parte interna della carta continua a rispondere senza alcuna differenza alla luce di Wood o luce viola o luce nera. Se invece notiamo, come in figura 2, che alcune parti del francobollo/foglio, non rispondono alla luce restando di una colorazione scura tra il blu ed il grigio, vuol dire che in queste aree osserviamo mancanza o carenza di luminofori.
Altra immagine interessante è quella di figura 3. Essendo una striscia di quattro francobolli, la gradualità del fenomeno è veramente chiara. È indubbio in questo caso che la fluorescenza tenda a diminuire gradualmente da destra verso sinistra e l’estremo lembo sinistro appare come se ne fosse quasi totalmente privo.
Guardando sia il fronte che il verso di questa striscia, osserviamo che la fluorescenza ha lo stesso comportamento su entrambe le facce e ciò dimostra che la fluorescenza è in pasta ed ha una distribuzione non uniforme. Tale decremento di fluorescenza è certamente dovuto ad una riduzione quantitativa di fosforo nell’impasto di produzione della carta e la luce viola lo evidenzia perfettamente. Tenendo presente che i castelli hanno fluorescenza in pasta nella carta, non è possibile toglierla al suo interno, come aveva già notato Riggi (appunti inediti).
Questo ritrovamento induce a pensare che ci possano essere stati fogli interi (molto probabilmente pochi) o parti di foglio di questo francobollo senza fluorescenza. A conferma di questa idea presento altre immagini molto eloquenti che provengono sicuramente da fogli differenti (figura 4).
Come si può notare, nessun esemplare è totalmente senza fluorescenza; solo il primo a sinistra lo è quasi. Si nota infatti una risposta parziale di fluorescenza gialla in basso a destra. Negli altri tre esemplari, invece, si notano aree limitate fluorescenti visibili nella stessa posizione, sia sul fronte che sul recto.
Conclusioni
A questo punto vengono spontanee due considerazioni:
- Non penso che questi francobolli siano stati manipolati in quanto mancherebbe la possibilità di estrarre la fluorescenza dall’impasto della carta per via chimica o fisica.
- In base a quanto sopra, si potrebbe pensare che potenzialmente potrebbero esistere esemplari di castelli stampati su carta non fluorescente per difetto di fabbricazione dell’impasto, però questa volta su carta con filigrana stelle quarto tipo e non secondo.
aggiornamento del 26 giugno 2017
Questo articolo è apparso nel mese di gennaio 2017 su Il Francobollo Incatenato n. 269. Recentemente Ketty Borgogno mi ha inviato l’immagine fronte retro di due esemplari da 750 lire totalmente privi di fluorescenza, sia in pasta che in patina. Ho colto quindi l’ocasione per rivedere l’articolo nel suo complesso e aggiungere questa ultima novità.
Nella figura 5 mostro questo nuovo ritrovamento che sicuramente spingerà gli appassionati di questa serie a rivedere i loro magazzini nella speranza di trovare altri esemplari da inserire nella propria collezione. Certamente siamo di fronte a ritrovamenti che possiamo considerare rari quindi non posso che augurare buona fortuna a tutti gli appassionati con la speranza che possano trovare questa varietà, magari, anche in altri valori di questa intrigantissima serie ordinaria.
bibliografia
Giovanni Riggi, 1990. La Fluorescenza nei Francobolli d’Italia, edizioni CRAL SIP sez. Torino.
Giovanni Riggi, 1995. La Fluorescenza nei francobolli d’Italia, Vaccari Editore.
IL TAGLIO CHIRURGICO
Stefano Proserpio, con la collaborazione di Nicola Luciano Cipriani
A volte in filatelia si danno per scontato cose che non lo sono. Penso che a tutti noi, sentendo parlare di taglio chirurgico (o di rasoio), vengano subito in mente delle immagini di questa splendida varietà; dovendone dare una definizione però e, soprattutto, comprenderne la genesi, molti potrebbero avere qualche difficoltà. È quanto successo anche a me quando mi sono accinto a scrivere queste righe e mi sono messo a cercare in letteratura e sul web ogni informazione che potesse essere utile a meglio presentare tale varietà, senza trovare una trattazione organica sul tema.
Innanzitutto: cos’è e come si origina un taglio chirurgico? Con sorpresa ho constatato che le definizioni non sono univoche, anche se riconducibili sostanzialmente a due.
Un primo gruppo si rifà alla definizione di un noto catalogo specializzato che così si esprimeva già in un’edizione del 1991: “Taglio chirurgico: si tratta di una riga di colore nel senso della stampa, sulla bobina, causata da un corpo estraneo tra il cilindro di stampa e la sua racla”; un’edizione successiva del 2012 integra la definizione con una frase finale circa il valore di tali varietà: “gli esemplari che presentano questa varietà hanno un valore compreso tra i 50 e i 100 euro, a seconda dell’entità”. Sulla stessa linea l’articolo “I francobolli di Repubblica: questioni tecniche” in La Repubblica Italiana, Poste Italiane – 2003, pag. 258, che cita il taglio chirurgico tra le varietà tipiche della stampa in rotocalco, così definendolo: “riga di colore nel senso della stampa causata da un corpo estraneo sul cilindro”.
Passando al web, al link http://www.ilpostalista.it/consul_riggi111.htm si legge quanto segue “Il ‘taglio chirurgico’ o di rasoio come altri lo chiamano si forma nella stampa rotocalcografica quando un piccolo corpo estraneo (un granellino di polvere, un piccolo residuo di inchiostro secco …) si interpone tra la racla pulitrice ed il cilindro di stampa. In queste condizioni la racla non può pulire bene il cilindro dall’inchiostro in eccesso perché rimane leggermente sollevata, così lascerà sul cilindro stesso due piccoli aloni di inchiostro ai lati dell’oggetto estraneo. Invece in corrispondenza dell’ ”intruso” il cilindro risulterà pulito. Normalmente il taglio chirurgico è sempre orientato nella direzione di stampa e si riscontra in moltissime emissioni rotocalcografiche, anzi nella maggioranza delle emissioni!”. Sempre su internet nel Dizionario postale e filatelico italiano pubblicato su www.accademiadiposta.it la voce che ci interessa è così definita: “Termine filatelico che definisce una varietà tipica della stampa in rotocalco, consistente in una fascia di colore con il centro bianco che attraversa il foglio di francobolli o gli interi postali nel senso della stampa; è causato da un corpo estraneo finito tra il cilindro di stampa e la racla che asporta l’inchiostro in eccesso”. Tale definizione è correlata da una bella immagine di una coppia del 30 lire Democratica, che rappresenta indubbiamente un taglio chirurgico (fig. 1).
Anche Wikipedia si pone in tale solco: “Il taglio chirurgico è una varietà tipica della stampa a rotocalco, consistente in una doppia riga di colore con il centro bianco, presente sui fogli nel senso della stampa, causata da un corpo estraneo tra il cilindro e la racla. La racla è una lama che elimina dal cilindro il colore in eccesso, e in caso ci siano delle impurità o un mal funzionamento qualsiasi, lascia delle righe colorate simili a striature che poi rimangono nella stampa. L’effetto che se ne ottiene è la doppia striatura di colore e al centro una parte che rimane bianca relativa all’oggetto intruso o alla parte rotta. Questa varietà è nota su molti francobolli italiani ed esteri. Oltre alla varietà di colore, si possono avere anche dei tagli chirurgici nella fluorescenza, infatti, sempre per le stesse motivazioni, al momento di apporre ed eliminare la fluorescenza in eccesso, se ci sono dei corpi estranei o danneggiamenti, ci sarà una modifica della maschera di fluorescenza del francobollo. La maschera o le bande fluorescenti risulteranno così modificate, fino, nei casi più eclatanti, a creare dei tipi naturali di francobolli. Questa varietà è riscontrabile sui francobolli di Gran Bretagna e Canada. Talvolta, meno evidente, un improprio taglio chirurgico può essere solo una riga di colore verticale, causato da un pelo o altra impurità che struscia sulla carta al momento della stampa. Questa varietà è particolarmente frequente sulle serie ordinarie italiane della Siracusana e dell’Italia al Lavoro, sia come riga di colore che come riga di assenza di colore. Delle due tipologie di righe, è sicuramente più rara la riga di colore.” Accompagnano tale definizione due immagini: una relativa ad un esemplare Donne nell’arte da 10 cent. con taglio chirurgico (fig. 2)
ed una composizione che mette a confronto tre francobolli da 20 Lire della serie ordinaria “Siracusana” fluorescente che presentano delle “varietà di righe” a confronto, evidenziando la differenza tra la riga di colore e il taglio chirurgico vero e proprio (fig. 3).
Esiste un’altra interpretazione dei tagli chirurgici, quella data dal fondatore del CIFO, Giovanni Riggi di Numana, di cui ho raccolto alcuni contributi che si completano a vicenda.
Il primo è contenuto in “I francobolli ordinari definitivi della Repubblica Italiana denominati Castelli d’Italia”, Pubblicazione didattica del CIFO n. 11 – giugno 1998, pag. 89-90: Taglio di rasoio o chirurgico: i francobolli interessati da questa varietà sono attraversati verticalmente o orizzontalmente da due bande colorate parallele, separate da uno spazio di circa 0,8/1,2 mm., la cui lunghezza è variabile da qualche millimetro ad alcuni centimetri (in questo caso la varietà interessa più francobolli). La larghezza di ciascuna delle bande è di circa 3/5 mm. Il colore è monocromo e può essere diverso in stampate successive dello stesso francobollo. Le bande colorate hanno tra loro una linea di separazione molto netta dal lato dell’interspazio che le divide, ma tendono a sfumare dall’altro lato. Le bande possono colpire qualsiasi area del foglio, compresi i bordi, ma nei casi più frequenti attraversano almeno due vignette. È un difetto di stampa legato ad uno sbuffo della macchina rotocalcografica stampatrice che si verifica irregolarmente quando la pressione dell’aria compressa che muove i meccanismi richiede uno scarico, spruzzando l’inchiostro utilizzato in quel momento sul foglio sottostante. Gli esemplari interessati da tagli di rasoio sono abbastanza rari e sono spettacolosi per il contrasto dei colori delle bande con i colori delle vignette. Il nome così poco filatelico deriva dal modo di apparire della varietà che sembra, se l’inchiostro spruzzato è rosso, simile ad un taglio netto in carne viva, provocato da una lama molto affilata come un rasoio o un bisturi. Nella maggior parte dei casi il tagli di rasoio può essere considerato tra le varietà naturali perché fogli contenenti questi segni sono abitualmente trovati presso i rivenditori di francobolli.
C’è poi il “Lessico filatelico” da lui curato, che a pag. 403-404 alla voce “taglio” così recita: Il taglio di rasoio o taglio chirurgico è una particolare varietà filatelica pregiata, una doppia traccia colorata (di uno dei colori utilizzati nella stampa) che si può vedere su qualche raro francobollo stampato in rotocalcografia. Si tratta di un modesto doppio spruzzo di inchiostro che è trafilato da una fessura delle macchine da stampa, spinto dai meccanismi pneumatici che lo polverizzano in minute goccioline e che si esprime in due linee colorate e sfumate parallele, tra loro distanziate da una linea non colorata spessa qualche decimo di millimetro o poco più, per una lunghezza di qualche centimetro (fino a 20). La colorazione è in genere molto visibile e modifica sensibilmente l’aspetto del francobollo, ma soprattutto poco comune e quindi ricercato dai cultori delle varietà. I tagli di rasoio si sviluppano in altezza o in larghezza del francobollo (raramente in leggera diagonale) in quanto vengono prodotti dalle macchine mentre i fogli scorrono sull’impianto e quindi seguono la direzione dello scorrere della carta. Per quanto riguarda l’Italia è trasversale o parallelo al dritto della vignetta, ma ne esistono alcuni lievemente inclinati rispetto ad uno o due assi della vignetta, originati dagli stessi spruzzi di inchiostro ma verificatisi mentre la carta per qualche causa accidentale non era perfettamente allineata alla direzione di avanzamento.
Lo stesso “Lessico filatelico” a pag. 45, alla voce “chirurgico”riporta: Aggettivo in filatelia connesso con la parola taglio. Il “taglio chirurgico” è un grosso e ben visibile difetto di stampa che si vede su qualche francobollo o su file di francobolli contigui (in genere verticali) che si esprime con la presenza di una coppia vicinissima e parallela di baffi sfumati monocromi che coprono la stampa di vaste aree dei francobolli modificandone l’aspetto finito (figura 4).
La presenza di taglio chirurgico non è comune ed i francobolli che lo possiedono sono particolarmente apprezzati dai collezionisti di varietà”.
Meritano di essere citati anche alcuni stralci dell’articolo “Il taglio di rasoio” pubblicato da Riggi su Il Francobollo Incatenato n. 57, luglio 1997: “Nello stesso foglio, in quei rari fogli che sono stati scoperti ancora interi, questa stampa aggiuntiva è presente una sola volta (…). Il colore della stampa aggiunta è sempre appartenente ad uno solo dei colori presenti tra quelli che colorano la vignetta, ma sullo stesso tipo di francobollo può variare nel corso del tempo e delle tirature. In altre parole se la vignetta è in quadricromia il colore del “taglio” può essere di uno solo dei quattro colori e, in fogli diversi, può essere di un colore, dei quattro, diverso. (…) I francobolli con taglio di rasoio sono nati con l’uso delle macchine da stampa complesse del secondo dopoguerra (Brm, Goebels) e sono divenuti un poco più frequenti nel periodo 1975 – 1990. Il fenomeno non è mai stato chiaramente spiegato dal Poligrafico di Stato forse anche perché mai nessuno ha posto domande specifiche. Genericamente si può dire che le due barrette colorate sono dovute a microspruzzi di inchiostro lanciati dalla modesta pressione dei meccanismi pneumatici che spostano e muovono le matrici dalla carta da stampa durante uno dei passaggi cromatici. Sono in realtà degli “sbuffi” di inchiostro colorato provenienti da due fessure che involontariamente e molto saltuariamente colpiscono alcuni fogli di francobolli durante la stampa.
Due correnti di pensiero differenti, dunque. Entrambe concordano sul tipo di stampa che rende possibile il verificarsi di tale varietà: quella rotocalcografica. Questo è un punto fermo che ci risulterà utile poco più avanti.
Wikipedia, come si è visto, evidenzia che oltre al taglio chirurgico esistono altre “varietà di righe”; proviamo ad esaminarne alcune cercando di ricondurle all’una o all’altra corrente di pensiero.
Le figure 5 e 6 riportano alcuni esemplari del 30 lire Michelangiolesca: la 5 è indubbiamente un taglio chirurgico inclinato;
la 6 mostra invece una riga inclinata di colore bianco;
lo stesso dicasi rispettivamente per le figure 7 e 8, relative a due valori della Siracusana.
Righe in senso lato sono riscontrabili anche sui francobolli di servizio: le figure 9, 10, 11 e 12 mostrano tagli chirurgici su esemplari di pacchi postali, pacchi in concessione, segnatasse e posta aerea, mentre la 13 mostra semplici righe bianche su francobolli per espresso.
Personalmente sarei portato a ricondurre gli esemplari con riga bianca (figg. 6, 8 e 13) all’interpretazione del primo tipo, mentre ascriverei i numeri 5, 7, 9, 10, 11 e 12 alla definizione di Riggi. In particolare la definizione da lui data calza a pennello al blocco di nove esemplari del Castello da 850 lire riportato in figura 14,
ben apprezzabile nonostante la qualità non eccelsa dell’immagine (da G. Martina “Le varietà della serie ordinaria ‘Castelli d’Italia’ ”, U.F.S. 2006).
La fascia nera che in alto si separa in due con la fascia bianca nel mezzo non può che essere prodotta da uno sbuffo di inchiostro dovuto ad uno sfiato di pressione del sistema e non da un granello intruso e trascinato dalla racla. All’inizio la pressione è elevata e la barretta davanti allo sbuffo viene avvolta tutta dall’inchiostro a causa della pressione; subito dopo, si ha diminuzione di pressione e, in parallelo con lo scorrimento della carta, il flusso di inchiostro si attenua e la barretta antistante ostacola lo spandimento del colore producendo la fascia bianca mediana. Con questa interpretazione si possono spiegare molto bene anche i due esempi di figura 15.
In particolare lo sbuffo sul 100 lire è interpretabile con una caduta di pressione molto breve ed intensa che ha prodotto un taglio chirurgico abortito, mentre la forma sul 550 lire è interpretabile con uno sbuffo di non alta pressione ma più prolungato nel tempo che ha prodotto un taglio chirurgico che si assottiglia lentamente.
Alcuni casi però non sono così chiari: di seguito segnalo due casi relativi ai Castelli: si tratta di un esemplare da 500 lire riportato da Giovanni Martina nella pubblicazione testé ricordata e di uno da 700 lire in mio possesso (rispettivamente figg. 16 e 17).
Entrambi recano una traccia che potrebbe assomigliare ad un tenue taglio chirurgico, ma ciò non è possibile, perché i due francobolli sono stati stampati rispettivamente in calcografia e calcografia + offset, mentre – come visto – il taglio chirurgico può essere generato solo dalla stampa con metodo rotocalcografico. Potremmo forse definire tali varietà come interruzione lineare di stampa o righe di colore, ma non certo come tagli chirurgici.
Focalizzando ulteriormente l’attenzione sulla serie Castelli, andiamo ad esaminare preliminarmente i metodi di stampa impiegati per tale serie, diversi a seconda dei valori:
– Rotocalco a 2 colori: 5, 10, 20, 30, 40, 60, 120 e 150 lire
– Rotocalco a 4 colori: 50, 70, 80, 90, 100, 380, 550, 650 e 850 lire
– Calcografia e offset: 170, 180, 200, 250, 300, 450, 600, 700 lire
– Ristampa in rotocalcografia (D.M. 2/11/1993): 200, 250, 300 e 450 lire
– Calcografia: 350, 400, 500, 750, 800 lire e tutti gli esemplari per macchinette
– Calcografia a doppia impressione: 900, 1000 e 1400 lire
Una nota curiosa ed inedita, a quanto ne so, relativa al 650 lire: il D.M. 15/3/1986 stabiliva che il francobollo da 650 lire fosse stampato in calcografia coi colori azzurro oltremare, viola malva e terra di Siena. Evidentemente le cose andarono diversamente e il francobollo fu stampato in rotocalco, come attestato anche dalla presenza su tale francobollo di tagli chirurgici (fig. 18).
Come sopra esposto il taglio chirurgico è riscontrabile solo su esemplari stampati in rotocalco, pertanto la ricerca di tale varietà andrebbe concentrata “solo” sui 17 valori realizzati con tale tecnica di stampa. In realtà anche i tre valori dentellati 13 ¼ (50, 100 e 550), il 50 lire datato 1980 e i 4 valori ristampati nel 1994 sopra ricordati ricadono tra i valori stampati in rotocalcografia; bisognerebbe poi tener conto anche del 100 lire stampato su carta con filigrana stelle II e degli otto valori con dentellatura a blocco. Perciò i francobolli sui quali è possibile trovare la pregiata varietà sono quelli riassunti in tabella.
Nella tabella ai singoli francobolli sono associati il numero di colori di stampa e l’indicazione degli stessi come riportata nei relativi Decreti Ministeriali che ne autorizzano l’emissione; in alcuni casi i colori vengono puntualmente indicati, in altri compare la dicitura “quadricromia”. Cercando tra i libri a mia disposizione ho trovato quanto segue: “nel rotocalco e nell’offset (…) la quadricromia è ottenuta dalla sovrapposizione di giallo, magenta, ciano e nero” (Bogoni D., 1999 opera citata). Tale indicazione era coerente con tutti i tagli chirurgici rinvenuti su francobolli stampati in quadricromia dei quali disponevo fino a quel momento; ad un certo punto, però, ricevo l’immagine del taglio chirurgico di colore verde sul Castello da 650 lire, già presentata in figura 18. Come spiegare un taglio verde in un francobollo che avrebbe dovuto essere stampato in giallo, magenta, ciano e nero? Scartata l’ipotesi che il colore fosse originato dalla sovrapposizione di giallo e ciano, è scattata un’indagine nella quale ho coinvolto anche Luciano Cipriani, i cui esiti vado a riportare.
Il termine quadricromia si riferisce solo ai quattro colori base (ciano, magenta, giallo e nero) ed essa può essere utilizzata per la stampa con qualunque metodo (rotocalco, offset, ecc). Esistono poi altri colori, chiamati colori pantone, che non sono fatti con la miscelazione di due o più colori base, ma derivano dalla miscelazione di altri colori pantone. Un colore pantone può essere utilizzato in sostituzione di uno o più colori della quadricromia. È quanto accaduto nel caso del 650 lire, nel quale il nero è stato sostituito dal verde, come confermato dai colori di registro (triangoli colorati) presenti sul bordo destro del blocco rappresentato in figura 19: è presente un triangolo verde, mentre ne manca uno di colore nero.
La stampa però può essere fatta anche senza l’uso della quadricromia: un esempio è il Castello da 150 lire (fig. 20) che è stampato a due colori i quali, entrambi, sono colori pantone.
Chiarito quanto sopra, vediamo a questo punto su quali valori dei Castelli sono ad oggi effettivamente conosciuti dei tagli chirurgici rispetto a quelli teoricamente possibili indicati in tabella; ciò sulla base di quanto rintracciato in letteratura e sul web e delle segnalazioni di pezzi pervenute da collezionisti del settore (evidenziati in grassetto i valori via via segnalati in più rispetto ai precedenti):
– Riggi sui valori da 50, 100, 150, 380, 550, 650, 850 lire.
– Giovanni Martina nell’opera citata riporta tale varietà per i valori da 20, 50, 100, 500 (da stralciare, come descritto più sopra), 550, 650 e 850 lire.
– il Catalogo Sassone specializzato ed. 2012 cita i valori da 50, 100, 150, 380, 550, 650 e il 50 lire Calascio datato 1980.
– www.catalogospecializzato.it segnala, tra gli altri, un 80 lire (fig. 23)
– Ketty Borgogno in un recente articolo segnala l’esistenza del taglio chirurgico sul 10 e sul 20 lire (Il Foglio U.F.S. n. 185, settembre 2015, pag. 17)
– Stefano Finotti, oltre ai valori in suo possesso, segnala di conoscere l’esistenza di un 40 lire
– nella mia collezione è presente, tra gli altri, un 120 lire (fig. 25)
Dalla ricognizione eseguita è emerso che i Castelli sui quali più frequentemente si rinvengono tagli chirurgici sono il 50, il 100 ed il 550 lire, probabilmente in quanto soggetti a maggior consumo e quindi a maggiore tiratura, con conseguente aumento delle probabilità del verificarsi della varietà, mentre altri sono di più difficile reperibilità; di parecchi poi non si è al momento trovata traccia alcuna.
È aperta la caccia ad altri esemplari: ogni segnalazione è gradita!
Un sentito ringraziamento agli amici Ketty Borgogno, Luciano Cipriani, Stefano Finotti, Claudio Manzati, Sergio Mendikovic, Giovanbattista Spampinato e Leonardo Costa che hanno collaborato fornendo informazioni ed immagini.
E siccome anche l’occhio vuole la sua parte, quale conclusione migliore di una rassegna di belle immagini di tagli chirurgici sui Castelli?
Bibliografia
– Bogoni D. “La stampa” in ‘Castelli un baluardo postale’, Poste Italiane, 1999 (pag. 35).
– Borgogno K. “Varietà della serie ordinaria ‘I Castelli d’Italia’ – parte prima” in ‘Il Foglio dell’Unione Filatelica Subalpina’, n. 185 – Settembre 2015 (pag. 16).
– Crevato Selvaggi B. (a cura di) “Le carte-valori ordinarie della Repubblica” in ‘La Repubblica Italiana’, 2003, Poste Italiane (pag. 294).
– Crevato Selvaggi B. (a cura di) “I francobolli di Repubblica: questioni tecniche” in ‘La Repubblica Italiana’, Poste Italiane – 2003 (pag. 258).
– Martina G. “Le varietà della serie ordinaria ‘Castelli d’Italia’ ”, ed. Unione Filatelica Subalpina – 2006.
– Riggi di Numana G. “I francobolli ordinari definitivi della Repubblica Italiana denominati Castelli d’Italia”, Pubblicazione didattica del CIFO n. 11 – giugno 1998 (pag. 89-90).
– Riggi di Numana G. “Il taglio di rasoio” in Il Francobollo Incatenato n. 57, luglio 1997 – CIFO.
– Riggi di Numana G. “Lessico filatelico” ( pag. 45 e 403-404).
TIRATURA? RISTAMPA? TIPO? CERCHIAMO DI FARE CHIAREZZA!
a cura del perito filatelico Nicola Luciano Cipriani e Claudio Ernesto Manzati
PREAMBOLO
Perché abbiamo affrontato questo argomento? Per il semplice fatto che il campo, si può dire, che sia “minato” a causa di mancanza di chiarezza in generale, ma soprattutto perché si usano questi termini in modo spesso non corretto continuando ad alimentare la confusione. Inoltre le moderne tecnologie di stampa adottate dal Poligrafico dello Stato inducono a considerazioni differenti rispetto al passato. È stato molto interessante leggere, sul numero d’esordio de “l’Odontometro” l’articolo di merito che ha scritto Marcello Manelli. Marcello Manelli sviluppa un bellissimo preambolo sulla ricerca del significato della parola “tiratura” dopo di che menziona l’uso della parola “tipo” spesso utilizzata in sostituzione della precedente in modo un po’ ambiguo. Passa poi in rassegna i quattro elementi fondanti del francobollo: a) il supporto (la carta); b) il contorno (la dentellatura); il recto (la stampa); il verso (gomma). Continua con l’elenco in 7 punti di quei caratteri che possono intervenire per far sì che si possa essere di fronte ad una differente tiratura e termina con un elenco di quattro motivazioni che hanno portato alla variazione di almeno uno dei quattro elementi fondanti del francobollo. In quell’articolo però sembra mancare qualcosa, probabilmente è dato per scontato, ma esplicitare tutto quello che è necessario a far chiarezza è sempre meglio. Quello che richiede ulteriori precisazioni è sicuramente porre dei limiti ben definiti tra tiratura e ristampa anche se tracciare una linea di demarcazione netta può non essere facile in alcuni casi, che in effetti ci sono. Una particolare attenzione meritano le nuove tecniche di stampa e numerazione adottate dall’IPZS, come si vedrà nel seguito. Ad ogni modo un punto fermo c’è e riguarda il concetto di tiratura il quale in filatelia non è poi così diverso da quello del mondo dell’editoria in generale. La tiratura di un giornale o di un libro sono le copie stampate di ciascun oggetto; ma se prendiamo in considerazione un libro che viene ristampato più volte, notiamo che in seconda di copertina, in genere, sono riportati gli anni o, per i libri di grande successo, addirittura i mesi in cui si è avuta la ristampa. Per alcuni libri di successo, le ristampe sono state diverse e ciascuna è riconoscibile dall’anno in cui è avvenuta la ristampa. Ogni ristampa ha una propria tiratura e spesso queste possono differire o per il tipo di carta, o per il tipo di rilegatura o altro, ma comunque sono riconoscibili dall’anno in cui sono state stampate. Questo è l’aspetto che più si avvicina al mondo filatelico: la possibilità di distinguere una ristampa dall’altra e quindi una tiratura dall’altra. Inoltre, possiamo anche avere il caso di due ristampe dello stesso libro decisamente identiche, ma che differiscono solo per l’anno riportato in seconda di copertina. Il concetto di tiratura con ristampe di un libro di successo ci sarà molto utile per capire in parallelo quanto asseriamo nel proseguo di questo testo; torniamo quindi nell’ambito filatelico. In filatelia per tiratura si intende un insieme di francobolli con caratteristiche costanti, tanto che francobolli della stessa emissione, ma con caratteristiche differenti in almeno un componente principale sono attribuite a due distinte tirature. Come esempio citiamo il dittico emesso in occasione della vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio del 2002 (figura 1).
Il francobollo di sinistra è stato emesso inizialmente con 7 fori diagonali, successivamente con 6; la variazione fu necessaria per ovviare alla facile rottura dell’angolino in cui si concentravano ben quattro fori (figura 2). È indubbio che l’eliminazione del foro della diagonale in prossimità dello spigolo rivesta un carattere progettuale, o strutturale che si voglia, e quindi i due francobolli vanno considerati come appartenenti a due distinte tirature.
Un giorno dello scorso agosto, con Claudio Manzati ci siamo incontrati in Maremma presso il mio agriturismo. La giornata era calda e, come al solito, anche abbastanza ventosa, due caratteri molto frequenti a Casa Montecucco. Sarà per la posizione un po’ collinare, un po’ perché apre la valle del Fiume Bruna verso la pianura grossetana, ma qui almeno la brezza è quotidiana, e in certe ore della giornata o anche saltuariamente per tutto il giorno, il vento si fa sentire. Per ripararci da quel vento che non ci faceva lavorare con la lavagna a grandi fogli di carta, ci siamo riparati sotto la loggetta dell’ingresso principale (figura 3).
Qui, un po’ riparati dal vento, abbiamo sopportato il caldo sole del tardo pomeriggio ed abbiamo un po’ giocato mettendo su carta alcune idee, ragionando ad alta voce e scrivendo qualche appunto schematico. Claudio da bravo dirigente industriale ha iniziato subito ad organizzare un elenco per punti delle voci principali, poi via via ne aggiungevamo delle altre continuando i nostri ragionamenti. Ve li proponiamo un po’ più dialogati anche per spiegare meglio le nostre idee.
Innanzitutto il nostro ragionamento non si applica ai commemorativi se non in pochi casi, più frequenti in passato, decisamente rari attualmente. Fino a qualche anno fa, infatti, la stampa dei francobolli, anche se non di elevata tiratura, avveniva con tempistica meno veloce di quanto si faccia oggi ed era quindi possibile avere differenze in almeno una delle parti principali che compongono il francobollo; pensate ai “Volta” stampati un foglio per volta! La nostra visita al Poligrafico dello Stato, nel marzo dello scorso anno, ci ha offerto la possibilità di toccare con mano le moderne tecnologie e metodologie di stampa dei francobolli; i responsabili di settore dell’IPZS ci hanno mostrato tutto l’iter necessario alla realizzazione di un francobollo: dal disegno (figura 4), al bozzetto, all’incisione sul cilindro ed alla stampa. Pensate, un commemorativo (tiratura 2-3 milioni) viene stampato in una unica soluzione e nell’arco di alcune ore. Parlando della situazione attuale abbiamo seguito un filo per noi logico fermo restando la possibilità di applicarlo poi in modo retroattivo. Il nostro ragionamento quindi lo abbiamo portato avanti prendendo, come esempio, le due serie ordinarie dei Prioritari e di Posta Italiana.
Il primo punto fermo è il quantitativo di francobolli stampati: gli ordinari vengono stampati in centinaia di milioni di esemplari suddivisi in lotti di stampa. Cosa vuol dire? Semplice, prendiamo ad esempio l’ordinario per il primo porto (€ 0,60), è certamente il taglio più stampato e non può essere prodotto di continuo tutti i giorni perché le macchine servono anche per i commemorativi ed altri prodotti sia postali, sia amministrativi per lo Stato. Ogni qual volta viene richiesto uno stock di questo valore, al Poligrafico vengono programmati 1-2 giorni per la sua stampa. I turni (3) al Poligrafico coprono le 24 ore e la macchina destinata lavora il lotto in un’unica mandata. Questo è un lotto di stampa che può essere composto di qualche milione di pezzi, forse un paio di decine; certamente poca cosa rispetto al numero totale che vedrà la luce. Ogni qualvolta viene stampato un lotto di stampa si ha una “ristampa”. In teoria, se non si riscontrano grandi differenze tra una ristampa e l’altra, il fenomeno passa inosservato, al più si potrebbe notare qualche lieve differenza nel tono di un colore, ma la cosa non diventa degna di nota particolare. L’organizzazione al Poligrafico prevede il controllo dei cilindri di stampa, se ancora validi si montano sulla macchina e la ristampa sarà, molto probabilmente, quasi, indistinguibile dalla precedente. Se, invece, uno o più cilindri risultano aver lavorato troppe ore allora si procede alla ricromatura. Già questa operazione può facilmente produrre un lotto di stampa distinguibile dal precedente. Se poi un cilindro avesse già subito altre ricromature tanto da dover essere ricostruito, allora è sottoposto ad una rettifica (eliminazione di alcuni decimi di spessore del cilindro) a cui segue il trattamento galvanico per ricomporre un nuovo rivestimento di rame su cui viene eseguita una nuova incisione. Sul rame inciso si esegue una cromatura, per indurire lo strato contenente l’immagine ed il cilindro è di nuovo pronto per stampare. Annotiamo che oggi un cilindro può essere ricromato non più di due volte e comunque dopo rettifica, reinciso molte volte in dipendenza della quantità che dovrà produrre. Queste due operazioni portano entrambe ad avere un prodotto (il francobollo) che non è detto che sia proprio identico a quello di lotti precedenti, anche se la tecnica di realizzazione dell’immagine incisa sul cilindro in passato era realizzata attraverso un processo di pressione meccanica di una matrice di acciaio duro, che riportava il disegno, su un cilindro sempre di acciaio, ma meno duro. Ne risultava quindi che ogni francobollo corrispondente ad ogni differente posizione nel foglio era di fatto un francobollo a se, che poi nella stampa potevano anche avere lievi differenze uno dall’altro. Con i nuovi sistemi di preparazione del cilindro di stampa, le immagini sono realizzate attraverso una macchina con controllo elettronico. L’immagine è realizzata impiegando una punta di diamante che graffia ed incide il rame, tante volte quanti sono i francobolli presenti nel foglio, partendo da un’immagine creata a computer ed attraverso un algoritmo trasformata in impulsi trasferiti elettronicamente alla punta di diamante. Ne risulta che le immagini del francobollo riprodotte nel foglio sono praticamente identiche, come pure lo saranno a distanza di mesi quando il cilindro dovesse essere rifatto ex novo. La ricromatura di un cilindro è un’operazione possibile oggi con una tecnologia che fino a pochi anni or sono era totalmente differente: prima se un cilindro era troppo usurato doveva essere rifatto ex-novo. I prodotti della stampa di questi due cilindri potevano avere un qualche carattere che ne potesse consentire la distinzione. Possiamo dire che la ricromatura ha lo stesso significato di un nuovo cilindro del passato? Pensiamo proprio di si, quindi a maggior ragione anche un cilindro totalmente rigenerato con una nuova incisione della strato di rame deve necessariamente essere considerato un nuovo cilindro.
GLI ELEMENTI DI UN FRANCOBOLLO
Detto questo, passiamo quindi al nostro elenco degli elementi che compongono un francobollo e vediamo dove ci porta il nostro ragionamento. Vi ricordiamo che stiamo parlando delle produzioni di ordinari attuali.
Elementi che possono cambiare durante il periodo d’uso dei francobolli di una serie ordinaria:
1. Il cilindro
2. La carta
3. Il colore
4. La dentellatura/fustellatura/perforazione a tratteggio (tracciatura)
5. La gomma
1) Il cilindro – Il Poligrafico dello Stato usa quasi esclusivamente la stampa in rotocalco oppure in rotocalcografia (figura 5), entrambi questi sistemi necessitano di cilindri incisi.
La macchina da stampa utilizza fino a cinque cilindri, uno per ciascun colore, più un sesto per il colore tampone. Essa ha incorporato il sistema di taglio a tratteggio, quello per la dentellatura/fustellatura, quello per la separazione dei foglio, il loro conteggio con riporto su ciascun foglio del codice alfanumerico ed il controllo dei difettosi che vengono scartati e tagliati in striscioline e quindi l’impilamento. Per quanto riguarda i cilindri, l’attuale tecnologia utilizzata al Poligrafico dello Stato prevede la possibilità di rigenerare o ricostruire un cilindro di stampa secondo il suo grado di usura. La rigenerazione consiste nella ricromatura della superficie, la sostituzione, invece, in una nuova incisione. Per comprendere meglio quanto detto, prendiamo come esempio la prima e la terza tiratura dello 0,60 di posta italiana (figura 6).
Ricorderete che la prima tiratura aveva una stampa un po’ pesante, mentre, la terza è molto più leggera con il colore azzurro più tenue, dovuto non tanto al tono del colore quanto alle linee più sottili. Non abbiamo conferma, ma, dopo la nostra visita al Poligrafico, possiamo affermare con più che buona approssimazione, che la prima tiratura è stata stampata con il cilindro nuovo di zecca, mentre, la terza è stata stampata con un cilindro, quanto meno, rigenerato su cui è stata rifatta una nuova cromatura. Va messo in evidenza anche che tra queste due tirature sono passate decine di lotti di stampa sia di ordinari che di commemorativi. In questo caso penso che siamo tutti d’accordo nel dire che i due francobolli appartengono a due distinte tirature.
2) La carta – È un elemento molto importante del francobollo in quanto è il supporto su cui si applica tutto: la stampa, la gomma e la dentellatura. Essa può essere inoltre filigranata o no, pesante o leggera, colorata o bianca, fluorescente o no. Inoltre per i francobolli adesivi va considerata anche la carta siliconata di supporto sottostante. Non abbiamo esempi di eclatanti variazioni del tipo di carta per le due ultime ordinarie, ma possiamo proporvi i valori da 100, 700 e 750 lire della serie Castelli (figura 7)
che, generalmente su carta stelle 4, sono stati stampati erroneamente su carta stelle 2. La differenza di filigrana classifica con certezza questi francobolli in due distinte tirature.
3) Il colore – quello utilizzato per stampare i francobolli ordinari impone un discorso chiaro. Un conto sono le più o meno leggere differenze cromatiche dovute alle numerose ristampe eseguite, utilizzando però sempre gli stessi colori, un conto è un colore decisamente differente. Come esempio portiamo la differenza tra prima e seconda tiratura del valore da 0,60 di posta italiana (figura 8).
La prima tiratura è sempre quella con la stampa abbastanza pesante, la seconda invece è quella con la busta dorata. Inizialmente dubbia, ma poi confermata durante la nostra visita al Poligrafico, l’inchiostro dorato della seconda tiratura fu fatto “in casa” per mancanza della fornitura esterna da parte della ditta incaricata che prepara la miscela colorata pronta all’uso. In questo caso abbiamo effettivamente due colori simili ma di provenienza differente. In passato sono stati usati anche colori fluorescenti, certamente il più famoso è il 10 lire siracusana, ma ce ne sono altri. Anche in questo caso dobbiamo riconoscere di essere di fronte ad una tiratura distinta.
4) La dentellatura/fustellatura/perforazione a tratteggio – Dall’autunno del 2003, con le nuove macchine da stampa nella nuova sede della via salaria, il Poligrafico utilizza due sole modalità: la perforazione con blocco-piastra che perfora con passo 13×13½ e la fustellatura con passo 11. Inoltre è necessario considerare anche la tipologia del taglio a tratteggio (comunemente nota come tracciatura) al quale bisognerà pur dare, prima o poi, delle dimensioni geometriche. Anche questo carattere deve assurgere ad una considerazione pari agli altri per il semplice fatto che la lunghezza dei singoli tagli e la distanza tra loro sono tipiche del sistema utilizzato al Poligrafico. Le modalità attualmente in uso presso l’IPZS non consentono variazioni per queste voci se non quelle della mancanza di uno di questi elementi in modo casuale, ma queste situazioni generano le note varietà che sono fuori dal nostro contesto. Come esempio proponiamo la prima tiratura del prioritario stampato in rotocalco ed emesso nel mese di marzo del 2004 (figura 9).
Questo francobollo, primo della nuova serie in rotocalco, fu stampato senza tagli a tratteggio lungo i bordi destro e sinistro dei fogli. Fu un errore di progetto, ma l’emissione fu utilizzata per circa un mese e fu sostituita nell’aprile successivo dalla stessa emissione fornita degli opportuni tagli lungo i bordi. In questo caso non si tratta di un “non perforato a tratteggio” per varietà casuale, bensì di una modifica strutturale della produzione e quindi una seconda tiratura del francobollo.
5) La gomma – Anche la gomma ormai deve essere considerato un elemento costante della produzione del Poligrafico che si differenzia solo in due tipologie: francobolli classici da inumidire e autoadesivi. Questi due diversi tipi di collante sono costanti da tempo e lo continueranno ad essere per il futuro prossimo. Probabilmente durante la produzione decennale dei prioritari è stato utilizzato più di un tipo di collante autoadesivo, ma le differenze sono veramente minime e trascurabili. Variazioni volute e consistenti si sono avute in passato prevalentemente per la Siracusana e per i servizi coevi tra il 1968 e il 1979. Durante questo periodo il Poligrafico abbandonò l’uso della gomma arabica a favore di quella vinilica dando così vita a tirature differenziabili, in modo molto evidente, per il tipo di gomma.
ALTRE CONSIDERAZIONI
Da quanto esposto, ed in riferimento specifico ai moderni sistemi di dentellatura e fustellatura, possiamo affermare che la possibilità di avere più di una tiratura è praticamente impossibile per i francobolli commemorativi a meno di “accidenti” e/o variazioni progettuali in corso d’opera. Ad esempio l’emissione del 7 gennaio 2011 adesivo per il 150° dell’Unità d’Italia, era stata prevista in 4,2 milioni di esemplari stampati alla fine di dicembre del 2010 e, successivamente ne sono stati stampati altri 11,8 milioni che sono stati distribuiti agli inizi di aprile. Tra i due lotti di stampa, inizialmente, era sembrato di poter riconoscere alcune piccole differenze di tono dei colori. Considerando che entrambi i lotti sono stati stampati, ciascuno, in unica soluzione e che all’interno di ogni lotto si ha una elevata costanza dei toni cromatici, sono state cercate con il lanternino le possibili differenze per poter distinguere i due lotti in due tirature. In effetti, una differenza c’è, non tanto nei colori che hanno minime differenze di tono veramente poco apprezzabili che non giustificano alcun ché, ma nella fustellatura e nella cimosa. Tra il primo ed il secondo lotto di stampa, si è avuta una piccola rottura del fustellatore in corrispondenza della posizione 14 (CIFO, news del 9-6-2011) causando il taglio solo parziale del terzo dente dall’alto (figura 10).
Questo difetto è relativamente comune nei fogli con numerazione dispari, meno in quelle pari. Questo vuol dire che il fustellatore è doppio e ha lavorato due fogli per volta; è possibile che, dopo una pausa della stampa, il fustellatore sia ripartito con lo scarto di un foglio passando il difetto sui fogli pari. È molto probabile che, se l’impianto viene fermato per un qualunque motivo, la ripartenza fa sicuramente saltare la fustellatura su almeno un foglio. Un altro elemento che aiuta nella distinzione dei due lotti è la sigla alfanumerica che per la prima tiratura ha le lettere della produzione del 2010 e cioè HA+numeri, mentre la seconda tiratura ha le lettere della produzione 2011 che sono invece IA+numeri (figura 11).
Dalla comparsa dei prioritari rotocalcografici, infatti, il Poligrafico ha adottato un nuovo sistema di conteggio progressivo dei fogli composto da una sigla alfanumerica formata da due lettere e 9 numeri che sono tradotti nel codice a barre laterale lungo 5,7 ed alto 0,7 cm. La sigla alfanumerica è stata adottata anche per codificare e distingue le produzioni annuali, infatti la prima delle due lettere iniziali varia con l’anno solare. Nel caso di questo commemorativo, le due tirature sono riconoscibili esclusivamente dal dente incompleto nella posizione 14 che è nel 50% dei fogli e dal numero progressivo della sigla alfanumerica presente invece sulla cimosa di tutti i fogli. Quelli senza il difetto di fustellatura consentono di distinguere le due tirature solo in base alla sigla alfanumerica. I francobolli sciolti, senza il difetto e senza la cimosa non sono distinguibili. Questo esempio porta necessariamente a dover considerare la sigla alfanumerica come elemento determinante per il riconoscimento delle due tirature.
Diverso è il caso delle serie ordinarie per le quali, i numerosi lotti di stampa tendono a far usurare i cilindri che necessitano quindi di essere rigenerati o ricostruiti. In questo caso però, la possibilità di avere più di una tiratura è legato solo alla possibilità di riconoscere la rigenerazione o ricostruzione di un cilindro di stampa a meno che all’IPZS decidano di cambiare uno strumento con elementi riconoscibili (piastra, fustellatore o altro) durante la produzione di una stessa ordinaria. Restano fuori da queste considerazioni le varietà di ogni tipo che non hanno nulla a che vedere con il concetto di tiratura.
Fin qui ci sembra che il discorso sia abbastanza semplice, esistono però alcuni casi in cui l’attribuzione a tirature distinte richiede una valutazione più attenta. Ci riferiamo alle scritte in cimosa, anche queste sono incise nel cilindro del colore di competenza, quindi sono parte integrante di un cilindro. Nel momento in cui si porta una modifica in cimosa, bisogna necessariamente modificare un cilindro. Per spiegare questo concetto portiamo come esempio l’emissione con stampa in rotocalco del prioritario da 0,60 del 2004 (figura 12).
Questo francobollo è stato emesso agli inizi del mese di marzo in fogli da 40 senza la perforazione a tratteggio lungo i bordi verticali esterni (la mancanza fu un errore di progetto), agli inizi di aprile fu distribuito lo stesso francobollo in fogli provvisti di tratteggio lungo i bordi esterni. Nel mese di giugno comparve lo stesso con l’aggiunta di una barretta di colore azzurro (stesso colore delle scritte IL FOGLIO DI…) in corrispondenza del 36° esemplare, in pratica nell’angolo sinistro basso (non è nota la funzione di tale barretta, probabilmente consente il controllo progressivo dei fogli tramite un sistema elettronico di conteggio). L’aggiunta di un elemento colorato, anche se sul bordo, aveva previsto il rifacimento o la modifica del cilindro per il colore azzurro. In autunno è comparsa un’altra variante di questa emissione: le scritte lungo il bordo sinistro e la barretta, tutti, di colore nero. Anche in questo caso possiamo parlare di nuova tiratura. Tutte queste tirature prodotte durante il 2004 riportano le lettere BA nella sigla alfanumerica. Abbiamo sempre detto che questa emissione è costituita da quattro tirature ed in effetti pensiamo di essere tutti d’accordo, però nel caso di queste tirature non sono state apportate modifiche evidenti ai francobolli (in realtà ci sono, ma non è ancora chiaro se corrispondono alla tirature o se sono svincolate da queste), ma soltanto alle cimose. Inoltre, restando nell’ultima tiratura (scritte e barretta di colore nero) (figura 13) notiamo che questi fogli sono stati stampati anche durante il 2005 e 2006 mantenendo il millesimo 2004 in ditta, ma modificando la sigla alfanumerica che compare sulla cimosa destra.
Nel caso, quindi, di questo prioritario (scritte e barretta nere) riscontriamo nella sigla le lettere BA, CA e DA (figura 12); queste ci dicono che i prioritari millesimati 2004 sono stati stampati durante il 2004, 2005 e 2006. Indipendentemente dal fatto che il codice alfanumerico fosse inizialmente svincolato dal processo di stampa (posizione variabile sulla cimosa) oggi invece ha una posizione fissa, esso è e resta comunque un elemento presente sulla cimosa, al pari di tutti gli altri. Il dubbio se valutare o meno questo carattere per definire una tiratura c’è stato ed in parte c’è ancora. Però, riprendendo l’esempio del nostro libro di successo, notiamo che alcune ristampe possono essere facilmente riconosciute per un carattere (rilegatura, carta ecc), altre invece possono essere identiche e riconoscibili solo ed esclusivamente dall’anno riportato in seconda di copertina. Sia per questa considerazione che per omogeneità di interpretazione con tutto ciò che compare sulle cimose, pensiamo sia corretto attribuire anche alla sigla alfanumerica lo stesso valore degli altri elementi presenti sui bordi, anche se questa non fa parte dei cilindri di stampa ma è un elemento aggiuntivo che viene realizzato attraverso una apparecchiatura chiamata Ink-Jet, si tratta di una testina stampante a getto d’inchiostro comandata da un computer ed allineata al processo di stampa.
* I francobolli da libretto del 2001 sono leggermente differenti l’uno dall’altro per lunghezza e quindi distinguibili da quelli in fogli.
CONCLUSIONI
Concludiamo il nostro articolo, proponendo uno schema riassuntivo di quelle che dal nostro punto di vista sono le tirature delle due ultime serie ordinarie, ovvero la serie del Prioritario e quella di Posta Italiana. Questo articolo vuole essere un primo elemento di valutazione che ci auguriamo possa essere di stimolo per sviscerare l’argomento e giungere ad un concetto chiaro di tiratura con lo scopo di eliminare le ambiguità su questo argomento; ci auguriamo anche che l’elenco presentato possa essere integrato e quindi completato in modo esaustivo da nuove opinioni e segnalazioni che invitiamo i nostri associati e non solo, a farci pervenire. Se nei prossimi 3-6 mesi questo primo elenco non dovesse modificarsi, proporremo ufficialmente come associazione, agli editori di cataloghi, l’adozione di questo elenco integrabile eventualmente da nuove segnalazioni. Restiamo in attesa di risentirvi sull’argomento inviando un e-mail a l.cipriani@tin.it, c.manzati@virgilio.it, info@cifo.eu. O scrivendo a C.I.F.O. Via Cesare Pascarella 5 – 20157 Milano (MI).